
Il 16 Ottobre in tutto il mondo si festeggia la Giornata mondiale dell’alimentazione, istituita per ricordare la fondazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l’agricoltura - la FAO, appunto. Il dibattito sulla produzione e consumo di cibo nel mondo si lega inestricabilmente a molti altri temi che caratterizzano il nostro tempo: primo fra tutti il cambiamento climatico, che mette in crisi le colture con stagioni sempre più secche e minor disponibilità di acqua per le irrigazioni. Vi è poi l’espansione dei terreni a coltivazione per soddisfare la domanda globale, che spesso si scontra con la necessità di preservare habitat naturali già compromessi o con la crescita degli insediamenti urbani.
Esiste poi un paradosso, evidenziato da uno studio pubblicato dal Cambridge University Press: la produzione moderna di cibo ha da sempre prediletto pratiche economiche incentrate su alti volumi e basso costo; ciò dovrebbe aver portato ad una maggiore disponibilità di cibo per una fetta sempre più larga della popolazione. Secondo fonti FAO tuttavia, nel 2019 750 milioni di persone nel mondo (quasi una su dieci) sono state esposte a gravi livelli di insicurezza alimentare e 2 miliardi di esse non hanno avuto accesso regolare a cibo nutriente e in misura sufficiente. L’agricoltura rappresenta inoltre la principale causa (70%) di perdita di foreste, che vengo distrutte per fare spazio a coltivazioni di soia e palma da olio.
All’evidente squilibrio tra produzione e consumo, ma anche alla necessità di preservare foreste e habitat naturali, la comunità mondiale sta rispondendo in modi differenti, lavorando ad esempio su semi e colture più resistenti che garantiscano raccolti ottimali, programmi di sviluppo, farm verticali per la coltivazione di frutta e verdura. Una parziale risposta arriva anche dalle piccole produzioni forestali di prossimità, note come food forests e definite come sistemi di produzione alimentare basati su ecosistemi boschivi. Le foreste alimentari sono aree che incorporano alberi da frutto e noci, arbusti, erbe, viti e verdure che producono beni direttamente utilizzabili dalle persone.
I forest gardens - l’ennesimo nome che identifica questa pratica agroforestale - non sono una scoperta recente: ne sono state scoperte tracce antiche in Kerala, Nepal, Zambia, Zimbabwe, Vietnam, Sri Lanka e Indonesia, e per secoli hanno rappresentato una delle fonti di cibo per piccole comunità di sussistenza e famiglie rurali. Al giorno d’oggi se ne contano diverse centinaia in giro per il mondo, soprattutto nelle città (in Italia le troviamo a Milano, Parma, Cuneo e Palermo), che le utilizzano in collaborazione con scuole o gruppi comunitari per educare il pubblico sulla provenienza del cibo e su cosa può essere coltivato localmente. Nelle aree più povere o a basso reddito invece, questa pratica può aiutare a soddisfare il fabbisogno quotidiano di prodotti freschi e nutrienti. Sistemi agroforestali come quello delle food forests sono infine un ottimo modo per mantenere la produttività dei sistemi agricoli e diversificare la produzione mediante l'uso di alberi o altre piante perenni per produrre cibo, foraggio, legname, materiali da costruzione e legna da ardere.
Ovviamente il rapporto tra foreste e salute umana va ben oltre la sicurezza alimentare: le foreste offrono benefici comprovati per il fisico e la salute mentale e contribuiscono a migliorare il benessere spirituale, culturale e sociale delle persone. Proprio per questo, la gestione sostenibile, anche nelle sue forme integrate, diventa ancora una volta indispensabile per ottimizzarne i benefici e soddisfare i bisogni della società, conservando questi ecosistemi a beneficio delle generazioni presenti e future.